Se chiunque ormai sa che giugno è il mese dedicato ai diritti gay ed LGBTQIA+, o quantomeno dovremmo saperlo, sono pochi coloro che, invece, conoscono la storia del movimento per i diritti gay. Io mi sono informata, ed è di questo che vi voglio parlare.
Partiamo dalla definizione. Wikipedia dice che “il movimento LGBT, conosciuto anche come movimento di liberazione omosessuale, è il nome collettivo attribuito alla serie di gruppi, organizzazioni e associazioni accomunati dal progetto di cambiamento della condizione sociale, culturale, umana, giuridica e politica delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali”.
Sembra che, già verso la fine del 1800, esistessero delle forme “ufficiose” di associazionismo omosessuale. In Italia, il delegato Aldo Mieli aveva tentato di istituire un movimento di liberazione nazionale nell’ambito del Congresso mondiale sulla libertà sessuale, tenutosi in Germania dopo la Grande Guerra (1921). Fu organizzato per volere del medico sessuologo di religione ebraica Magnus Hischfeld, il quale chiedeva l’abrogazione del paragrafo 175 del codice penale tedesco sulla condanna penale per i rapporti sessuali fra uomini. Questa sorta di petizione ante litteram, pur ottenendo le firme di molti personaggi di spicco del periodo (Albert Einstein, Hermann Hesse, Thomas Mann), non portò a nulla.
Poco dopo, con l’ascesa politica del partito Nazionalsocialista dei Lavoratori guidato da Hitler, le condizioni degli omosessuali peggiorarono drasticamente. Questi, così come le persone di religione ebraica, i prigionieri politici, i rom e altre categorie cominciarono a essere arrestati e trasferiti nei campi di concentramento. In Italia, nel frattempo, Aldo Mieli, nonostante l’ascesa del fascismo, stava continuando a lottare per i diritti gay fino al 1926, quando fu costretto a rifugiarsi in Francia.
La nascita del movimento
Il movimento contemporaneo, come corrente culturale e politica, nacque più tardi: nel corso degli anni Sessanta del secolo scorso negli USA. Il punto di partenza viene identificato nei “moti di Stonewall” del 1969, che prendono il nome da Stonewall Inn, locale frequentato dalla comunità LGBT+ nel Greenwich Village newyorkese.
La sera del 27 giugno 1969 la polizia entrò a sorpresa nella Stonewall Inn arrestando le persone prive di documenti di identità o vestite con abiti del sesso opposto. Si racconta che “la goccia che fece traboccare il vaso” fu il tacco scagliato da una donna transgender di nome Sylvia Rivera contro un agente che l’aveva colpita con un manganello. Prima del 1969 vi erano già stati degli scontri, in particolare contro le donne transgender, ma i moti di Stonewall ottennero una eco mediatica mai raggiunta in precedenza. La rivolta si infiammò, coinvolgendo qualche migliaio di persone, e proseguì nei giorni successivi al grido di “GAY POWER”. Cosa accadde dopo? Nel mese successivo nacque il Gay Liberation Front. Tra le prime iniziative: una marcia per denunciare le persecuzioni contro le persone omosessuali. Si può considerare il primo Gay Pride della storia.
In Italia, si attese qualche anno in più. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e con la graduale perdita di consensi del partito Democrazia Cristiana, iniziarono a nascere le prime associazioni. ROMA-1 (1966) e CIDAMS (1973) di Massimo Consoli e FUORI! di Angelo Pezzana e Mario Mieli (1971) furono le prime a portare all’attenzione nazionale la cosiddetta “questione omosessuale”, anche in seno al Partito Comunista Italiano.
Nel 1982 nacque a Palermo, ad opera di un sacerdote apertamente omosessuale, Marco Bisceglia, la prima sezione di ARCI gay. Tutto cominciò da un episodio di cronaca nera: due ragazzi, di 25 e 15 anni, trovati morti mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola. Le indagini non portarono mai a nulla, ma il dubbio sul coinvolgimento delle famiglie di entrambi rimase. Contemporaneamente iniziarono a costituirsi gruppi come “Le papesse”, primo collettivo lesbico siciliano, o “Arcilesbica”, che si prefiggevano il pieno riconoscimento della parità di diritti fra i sessi, a prescindere dall’orientamento sessuale.
Il primo Gay Pride italiano si tenne nel 1994 a Roma, con oltre diecimila persone. Nel 2000, sempre nella Capitale, in concomitanza con il Giubileo, ci fu il World Gay Pride: 500 mila partecipanti. Undici anni dopo, durante l’Europride, si è sfiorato il milione. Ma è stato nel corso degli anni 2000 che i movimenti omosessuali di tutto il mondo hanno cominciato a vedere riconosciuti i propri diritti. Pioniera la Danimarca, che già nel 1989 legalizzò i matrimoni omosessuali. In Italia si è atteso fino al 2016 (Legge Cirinnà).
Cosa succede oggi?
Nonostante la numerosità di associazioni e movimenti presenti nel Bel Paese, e nonostante l’opinione pubblica sia, o voglia sembrare, sempre più aperta nei confronti dei diritti omosessuali, bisessuali e transgender, le istituzioni non sembrano tutelare abbastanza i cittadini italiani LGBTQIA+, i quali continuano a lottare contro limitazioni e ostacoli, soprattutto in termini di unioni civili ed adozioni.
Con il Decreto Legislativo n. 216 del 2003 l’Italia si è allineata alla direttiva europea 2000/78/CE, che mira a combattere le discriminazioni basate, tra l'altro, sull'orientamento sessuale, nel contesto lavorativo, ma stando ai dati dell’ILGA-Europe, rimaniamo in fondo alla classifica europea (35° su 49 paesi).
Platone scriveva: “Qualora si accerti che sia vergognoso essere coinvolti in rapporti sessuali tra uomini, questo si deve a cattiveria da parte dei governanti ed a codardia da parte dei governati”. Nonostante sia passato più di un secolo dai primi tentativi italiani di fare qualcosa di concreto per l’emancipazione della comunità LGBT+, ci sono ancora troppe discriminazioni verso persone che amano individui dello stesso sesso, di entrambi i generi o che decidono di cambiare sesso. L’augurio è che questi gap siano prima o poi colmati e che, in futuro, possano esistere intere annate arcobaleno e non un singolo mese, dedicati al diritto di amare chi si vuole e di essere chi ci si sente di essere.